Buon paesano non mi tradire

[ racconto   Massimiliano De Rose    10 luglio 2013

A chi partendo da Alzate si avvia per la strada provinciale che conduce a Como, là dove la strada, superato il monte orfano, incomincia ad adagiarsi contro la fascia pedemontana, si apre la campagna di Tavernerio.
Elia s'era fermato, e così i suoi compagni di viaggio. Curiosamente, lui che aveva a che fare tutti i giorni con il calore, odiava il caldo. E quel settembre era particolarmente fastidioso, con il sole, a quell'ora del mattino, che già alto nel cielo picchiava in testa. Si voltò verso Emmanuel, mettendosi la mano destra aperta contro la fronte.
"Devo sapere se la via è libera."
L'ex-generale annuì. Benché pochi lo sapessero parlare, la maggior parte dei soldati francesi comprendeva l'italiano.
"Per farlo devo entrare in paese. Attraverseremo i campi e mi attenderete al limitare dell'abitato."
Nonostante si fossero liberati dei bicorni e delle giubbe di ordinanza, agli occhi dei contadini era evidente che i forestieri di passaggio fossero soldati francesi. Non erano i primi e non sarebbero stati gli ultimi Galli a passare nelle loro ville per andare in Svizzera. E finora non v'era stato alcun contadino che aveva avuto il minimo motivo di lagnarsi di loro. Passavano silenziosi e mesti, timorosi d'attirar l'attenzione dei paesani.

Giovanni si tirò in piedi. Il manipolo di forestieri, circa venti uomini, che s'era fermato lungo la strada che attraversava i campi era un piacevole diversivo per la sua schiena, curva per troppe ore al giorno. Li guardò con disinteresse, sistemandosi il cappello a tesa larga sul capo. Il gruppo si fermò. Alcuni si sedettero, altri si sdraiarono sulle verdi rive al limitare della strada. Tutti si liberarono dei fardelli che trasportavano. Uno di loro, quello che sembrava guidare la comitiva, si staccò dal gruppo e proseguì verso il paese. Non era francese, pensò Giovanni. I suoi abiti e il suo portamento lasciavano intendere che era del posto. Non un paesano. Ma nemmeno un nobile. Gli parve di riconoscere in lui una figura familiare. Giovanni lo seguì con lo sguardo fino a che non lo vide scomparire tra le case. Alcuni soldati guardarono verso di lui, distogliendo però subito lo sguardo. Uno di loro invece, posato lo zaino, si diresse proprio verso il contadino.
"Bon paysan non me trahir" si limitò a dire quando fu a pochi passi da Giovanni.
Poi proseguì, evidentemente per ripetere le stesse parole agli altri contadini al lavoro nei campi. Parole che i paesani comprendevano bene perché nel loro vernacolo significavano la stessa cosa.
L'arrivo di Napoleone aveva portato entusiasmo, un entusiasmo che aveva contagiato un po' tutti. Non Giovanni. Era troppo consumato per non capire che un oppressore valeva l'altro. Via gli austriaci erano arrivati i francesi, accompagnati dall'eco della rivoluzione. Ma pur sempre oppressori. Ed infatti, ben presto l'entusiasmo era svanito. La guerra, per Giovanni, era qualcosa che non lo toccava direttamente: fino a quando francesi e austriaci si ammazzavano lontano dalla sua dimora, poteva dormire sonni tranquilli.
All'improvviso, mentre era assorto nei propri pensieri, vide uno dei soldati sgattaiolare furtivamente in un campo per poi scomparire tra il verde. Cercò di seguire i movimenti dell'uomo. Lo rivide comparire qualche istante dopo lungo il sentiero, molto più avanti, diretto verso il paese. Si chiese cosa mai avesse intenzione di fare.

"Da quando i francesi sono entrati a Como, quel maledetto 18 maggio, sono entrati nel Comasco i loro costumi e le loro nuove idee. E non è necessario ch'io ti spieghi cosa ne penso."
" Ma Signor Parroco" lo interruppe Elia "sto solo portando in salvo dei giovani. Vogliono andare oltre confine per tornare dai loro cari. Non siate così severo."
"E tu lo fai con disinteresse?" chiese il parroco.
"Se vorranno ricompensarmi accetterò, viceversa avrò fatto una buona azione."
"Guarda che non sono uno stupido" tuonò il parroco "non vorrai farmi credere che non hai già pattuito la ricompensa?"
Elia rimase in silenzio.
"E poi sono disertori" aggiunse il parroco.
"Sono stanchi della guerra, come noi del resto."
"Il nuovo regime di ... Napoleone" disse con disprezzo il religioso "è cominciato malamente, specie riguardo le cose religiose. Miscredenza, costumi libertini, indisciplina, stravaganza nei vestiti, violenze, calunnie. La religione disonorata, profanati i luoghi santi, perseguitati i sacerdoti sotto accusa di partigiani all'antico ordine di cose. Saccheggiati i benefici parrocchiali! Hanno raccolto l'argento delle chiesa e lo hanno consegnato ai delegati del nuovo governo. Pensa che solo Brunate ha dato 28 libbre d'argento. Dal Lago per settimane intere arrivavano barche cariche di argenti di chiesa. Ma io sono riuscito a salvare la crocina di Gasparo Molo del 1592. L'ho nascosta prima che arrivassero a sottrarmela."
"Signor Parroco le chiedo solo un'informazione" lo interruppe Elia.
"Si, ma tu mi costringi a mentire passando sotto silenzio il fatto che dei disertori sono passati sul nostro territorio."
Elia sospirò.
"Avete ragione, non avrei dovuto venire. Ma se mi aiuterà le darò una parte della ricompensa che ho pattuito, così da poter acquistare qualcosa per la chiesa che ora, a causa proprio dei francesi che sto aiutando, è così spoglia."
"Brutto mascalzone, credi di potermi comprare? E, sentiamo, quanto mi daresti?"
"Uno zecchino."
"Spilorcio!"
"Due zecchini."
"E sia" rispose prontamente il Parroco "ma non credere di avermi comprato. Stai facendo un'offerta alla Chiesa, non a me."
"Bene, e allora? La strada è libera?"
"No che non lo è. Non potete andare a Como. Andreste dritti in pasto ai delegati francesi. Dovrete salire a Brunate e poi scendere a Torno. Da lì troverete qualcuno che vi accompagnerà a Moltrasio. Poi avrete libera la via per la Svizzera."
"Grazie Padre."
Elia salutò e scappò fuori dalla chiesa.
"E non dimenticare di tornare a trovarmi" gli urlò il religioso alludendo evidentemente alla ricompensa che aveva pattuito.
E' vero. Avrebbe ricevuto quattro zecchini di mancia. Ma non stava facendo tutto questo solo per il denaro. Glielo aveva chiesto il Conte Giovio. E al Conte non aveva potuto dire di no. Il nobile lo aveva aiutato ad acquistare la fornace che oggi era la sua attività, la sua vita, il suo nome. La fornace che lo aveva tolto dai campi; che gli aveva permesso di smettere di fare il contadino e diventare quasi un signore. Il giorno precedente una ventina di soldati francesi disertori accompagnati da un generale s'erano presentati nella villa di Verzago del Conte. Cercavano una guida che li accompagnasse in Svizzera. E il Conte aveva chiesto ad Elia di farlo. Sapeva che non gli avrebbe detto di no e che conosceva la strada. Elia aveva vissuto a Tavernerio per molti anni e conosceva il parroco, a cui il Conte aveva suggerito di rivolgersi per sapere se la strada era libera. Conosceva bene la via per Como, che aveva percorso molte volte per recarsi al mercato a vendere i suoi prodotti, quando ancora coltivava i campi.
Quando dalla chiesa, scendendo per il Mal Cantone, sbucò in piazza, il suo cuore ebbe un tuffo. Cosa mai era accaduto? Un gruppo di persone discuteva animatamente, altri urlavano, qualcuno indicava la via verso la campagna. Attraversò la piazza cercando di cogliere le parole della gente e con sgomento si rese conto che qualcuno aveva abbattuto l'albero della libertà. Simbolo della rivoluzione, l'albero veniva piantato in ogni piazza, a testimonianza della dominazione Napoleonica. Non era altro che un palo di legno sulla cui sommità era posto un berretto rosso. Nei mesi passati chi aveva osato offendere quel simbolo ne aveva risposto davanti alla Guardia Civica. In Elia si insinuò il sospetto che l'episodio avesse a che fare con i disertori francesi. E se anche non fosse stato così sarebbe stato troppo semplice incolpare comunque i soldati di passaggio. E quindi lui. Allungo il passo e imprecò, consapevole che avrebbe dovuto cambiare strada ancora una volta. Sarebbe dovuto scendere nella valle del Cosia e risalire fino a Solzago per evitare il centro del paese.

Jacques si era silenziosamente allontanato dal gruppo, passeggiando distrattamente. Verificato che nessuno lo stesse guardando, si tuffò nel campo di granturco scomparendo alla vista dei compagni. Nessuno lo aveva visto. O almeno così credeva. Quando ritornò sul sentiero il paese di Tavernerio era ormai vicino. Raggiunta la piazza, dopo essersi assicurato che la loro guida si fosse allontanata, individuò rapidamente il suo obiettivo. Come aveva sentito dire, il padrone di fornace era diretto dal parroco. E la chiesa, che si scorgeva già dalla campagna di Verzago, da cui provenivano, sorgeva su un altura probabilmente poco distante dalla piazza del paese. Quel poco, però, gli sarebbe bastato per avere il tempo di fare il suo lavoro. Non era la prima volta. Jacques era una testa calda, e l'odio verso il fallimento della rivoluzione era tale da indurlo a compiere gesti avventati, nonostante esponessero se stesso e i compagni a terribili rischi. Con pochi colpi d'ascia, fra lo stupore generale della gente che popolava la piazza, abbatté l'albero col berretto rosso. Nessuno intervenne, chi per paura e chi per tacito assenso. Finito il lavoro si mise il berretto in capo e, con aria di sfida e un sorriso sereno in volto, salutò gli astanti. Trovò perfino il tempo per fare un bell'inchino ad una giovine che lo guardava affascinata dall'uscio di casa. Poi si dileguò prima che Elia facesse ritorno.

Giovanni si alzò nuovamente sulla schiena. Il giovane soldato che si era furtivamente diretto verso il centro del paese pochi minuti prima stava facendo ritorno. Correva allegramente lungo il sentiero polveroso agitando in aria un berretto rosso. Quando i compagni lo accolsero con rimproveri ed insulti il contadino capì esattamente cosa aveva fatto. Rise tra se. A causa della stupidità di quel giovane l'intera comitiva avrebbe rischiato di finire tra le grinfie della Guardia, vedendo così svanire il miraggio della Svizzera. Subito dopo anche la guida arrivò correndo, evidentemente preoccupato per quello che era successo. Parlottò brevemente con il gruppo di disertori per poi rimettersi in cammino. Quando furono più vicini Giovanni, finalmente, riconobbe quella figura che pochi minuti prima gli era sembrata così familiare. Elia. Quel farabutto che aveva condiviso con lui anni di fatiche nei campi ma che aveva mandato a monte la loro amicizia quando il Conte Giovio gli aveva comprato la fornace. Di recente si era dovuto rivolgere a lui per acquistare dei coppi per rifare il tetto della stalla, ormai ridotto ad un colabrodo. Elia, dopo averlo fatto aspettare diversi giorni, gli aveva mostrato un preventivo da capogiro. Giovanni era rimasto di sasso. Ed ora era lì, a pochi metri da lui. E stava accompagnando un gruppo di disertori francesi al confine. La rabbia che gli era montata vedendolo svanì di colpo. Forse avrebbe potuto prendersi una piccola rivincita, riuscendo a rifare il tetto della stalla senza spendere un soldo.

Che diavolo voleva quel bifolco che s'era piazzato in mezzo al sentiero? Elia, in controluce, cercò di dare un volto a quella figura. Solo quando fu a pochi passi lo riconobbe. Giovanni. Se ne stava immobile al centro della via con il forcone saldo nella mano destra e ben piantato nel terreno. Sotto i lunghi baffi del contadino si insinuò lentamente un sorriso sottile. Pronunciò solo poche parole, evidentemente rivolte a lui.
"Bon paysan non me trahir."

fine

 


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