Circator

[ racconto ]   Massimiliano De Rose    2 aprile 2007

Mons Sanctae Marie in Georgico (monastero benedettino) 31 agosto, anno del signore 1084. Appena terminato il kyrie eleison che concludeva le vigilie notturne, Saverio s’era infilato la nascosta sotto la manica e, come ogni notte, aveva cominciato a passeggiare fra le mura del monastero. Facendosi luce senza essere visto, si sforzava, con una dedizione priva d’ambizione, di percorrere ogni angolo dell’edificio religioso allo scopo d’evitare che si commettesse qualche sciocchezza. Con passo costante e nel silenzio più rigoroso, perlustrava ciclicamente la sala capitolare, il chiostro, il refettorio, il dormitorio ed i laboratori, nella speranza di cogliere all’improvviso le negligenze dei fratelli, prima che le stesse potessero giungere a provocare qualche scandalo. Nonostante fosse saldamente radicato nella vita monastica e amasse l’osservanza della Regola, non si riteneva un fratello particolarmente coraggioso o dotato  di spirito risoluto e, proprio per questo motivo, s’era sempre chiesto per quale ragione il priore gli avesse attribuito un compito tanto importante.

Saverio, uscendo dalla cucina, si ritrovò nuovamente nel chiostro che, a quell’ora della notte, era gradevolmente illuminato dal chiarore della luna. Fu in quel preciso istante che il frate, notando un ombra all’altro capo del chiostro, proprio dov’era ubicato l’unico passaggio che permetteva di uscire all’esterno, si sentì mancare il respiro. Fermo sulla soglia della cucina, con il cuore che pareva essersi fermato, seguì con lo sguardo la sagoma di un uomo dalle sembianze malefiche attraversare rapidamente il portico e sparire nella sala capitolare. Saverio, istintivamente, fece scivolare la manica del saio ancora più in basso, per ridurre al minimo la fioca luce propagata dalla lanterna. L’ombra, avvolta in un nero mantello, brandiva nella mano sinistra un forcone, mentre due corna gli sbucavano sopra il capo. Il povero frate, pietrificato dalla paura, rimase immobile per alcuni interminabili minuti. Ritrovato un po’ di coraggio, si diresse a grandi passi verso il dormitorio, consapevole che quella notte non sarebbe riuscito a chiudere occhio.

Il priore, quella mattina, nonostante fosse di buonumore, sentiva ancora il peso della notte appena trascorsa. Quando frate Saverio gli si avvicinò, si sforzò di apparire attento e gentile.

“Priore, vi devo parlare…con la massima urgenza.”

La voce era tremula, e lo sguardo colmo di imbarazzo.

“Ecco vedete, non qui…vorrei, vi sarei grato se, se voleste…”

“Si?”

“Se voleste ascoltarmi nel confessionale.”

Il priore indugiò a lungo negli occhi di Saverio, cercando di comprendere quale fosse il motivo di tanta agitazione.

“Ma certo, fratello” rispose affabile “certo. Seguitemi, e ditemi cos’è che vi turba in tal modo.”

“Nel confessionale” ripetè Saverio con lo sguardo piantato per terra.

I due frati si incamminarono l’uno a fianco dell’altro verso la chiesa. Il priore Alberto prese posto nel confessionale e Saverio, inginocchiatosi, cominciò a parlare.

“In verità non sono qui per confessarvi qualche peccato. Beninteso, non perché io non ne abbia da confessare, …tutt’altro. Non fraintendetemi. Non v’è peggior peccatore di chi crede di non peccare, ed io, insomma …”

“Saverio, ve ne prego, proseguite.”

“Ecco, vedete, ho una cosa più importante da dirvi. Forse, a ben pensarci, quello che m’è accaduto, …insomma, potrebbe essere legato alla mia condotta…credete che il maligno appaia con più facilità ai deboli di spirito?”

“Saverio, se mi dite cosa v’è successo, forse posso aiutarvi, altrimenti…”

“Si, avete ragione. Per farla breve, mi vengono i brividi al solo pensiero…, questa notte ho visto il diavolo.”

Il priore rimase in silenzio.

“Avete capito?” domandò Saverio mentre cercava di intuire, da dietro la grata, l’espressione di fratel Alberto.

“Si, Saverio, ho inteso. E dove lo avete visto?”

“Proprio qui, nel monastero, aveva un mantello nero e pareva fluttuare nell’aria, con due grosse…”

“Qui dove?” lo interruppe il priore, forse troppo bruscamente.

“L’ho visto nel chiostro.”

“Nel chiostro.”

“Si, nel chiostro. Ha percorso il portico ed è scomparso nella sala capitolare, ed io, codardo che non sono altro, sono rimasto immobile, forse avrei dovuto, vedete…è per questo che io…voi m’avete affidato il compito di vegliare sulla comunità ed io…credete, dunque, che il maligno appaia con più facilità ai deboli di spirito?”

“Non precoccupatevi, Saverio, avete agito bene.”

Il priore si compiacque di aver scelto Saverio, un frate umile e a dire il vero poco coraggioso, come cercatore. Un fratello più risoluto, forse, avrebbe rincorso e smascherato il diavolo notturno. Saverio invece aveva atteso impaurito che la sagoma svanisse nel nulla. Sovente Alberto temeva d’abusare della propria astuzia e pensava che un giorno o l’altro il Signore l’avrebbe punito per la sua condotta. Poi, però, si convinceva che per tirar avanti e fare in modo che i suoi fratelli continuassero a vivere in pace e serenità, alcuni compromessi erano necessari. Come poteva, altrimenti, riuscire a rimanere in equilibrio tra il potere dell’abate di Farfa e le prepotenze dei signorotti locali? Ultimamente, poi, quell’Uberto aveva esagerato. Cosa credeva, di poter minare la tranquillità di un monastero senza subire la vendetta divina?

Una volta era più semplice. Bastava convocare il popolo, la domenica mattina, e fare un clamore a Dio. Maledire i molestatori, i rapinatori ed i ladri, paragonandoli ai prepotenti signorotti che usavano la forza sui monaci, bastava ad intimidire i malintenzionati, ristabilendo così l’ordine. Ma ormai, anche il clamore era divenuto una pratica sconveniente e fastidiosa. Se il preposto di Farfa avesse saputo che veniva ancora praticato, lo avrebbe riferito all’abate, che sarebbe andato su tutte le furie. L’unico modo che Alberto aveva per tenere lontani i malintenzionati era quello di spaventarli. Era questo il motivo per cui, nelle notti di luna piena, indossava il suo mantello, brandiva il forcone e si calava in viso una maschera cornuta per far visita a quei briganti che, benché sprezzanti del pericolo, di fronte alla giustizia divina diventavano degli agnellini. E così anche Uberto. Saverio rise, e subito chiese perdono, ripensando alla faccia che il manigoldo aveva fatto vedendo bussare il diavolo alla sua porta.

“ Mi avete inteso, Saverio?” replicò il priore “non preoccupatevi. Il diavolo, dovete sapere, appare ai buoni di spirito, come siete voi, e non ai deboli.”

fine

 


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