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[ racconto ]     Massimiliano De Rose     4 aprile 2006

Castiglione del Lago - 22 maggio, anno del signore 1325.

Maestro Lorenzo ed il curato fissavano silenziosi l’ostia incastrata con precisione nella fuga tra due conci di pietra. Il piccolo disco di pane spuntava fuori dalla parete ad un’altezza tale che i porci non avrebbero potuto avvicinarvisi con i loro sudici musi. Il puzzo, nonostante fossero nel porcile da soli pochi istanti, era divenuto insopportabile. Il curato, dopo un cenno al compagno, si voltò ed uscì dalla modesta costruzione di pietra facendo cigolare la vecchia porticina di legno. Appena fuori dall’uscio, sotto il sole cocente di mezzodì, Cangrande li attendeva con i pugni serrati sulle anche ed il manico del forcone appoggiato al petto.

“Allora, avete visto ?” domandò il contadino.

“Voi bifolchi vi state facendo burle di un povero curato" rispose padre Gregorio “ ma il gioco dovrà pur finire. Il pane eucaristico è il corpo di Cristo, e l’uso che voi ne fate non é lecito, per tutti i santi del cielo !”

“Che c’é l’ho messa io l’ostia in mezzo ai porci ?" disse il rozzo contadino allargando le braccia.

Il curato strinse le folte sopracciglia verso il centro, allargando i lembi esterni in un’espressione minacciosa.

“E’ miracolo" continuò Cangrande, mentre si rassettava il cappello di paglia che aveva in testa “ il signore vuole proteggere i porci miei dalla morte e dalla malattia.”

Padre Gregorio, vinto l’irrefrenabile istinto di replicare, si consolò immaginando che, presto o tardi, avrebbe avuto la sua rivincita. La vicenda delle ostie, che durava ormai da mesi, stava assumendo contorni comici ed il curato era caduto nel ridicolo agli occhi dei compaesani e della curia di Roma, cui si era incautamente rivolto per ricevere aiuto. Disperato, Maestro Lorenzo Maitani da Siena era divenuto la sua ultima speranza. Forse un uomo di cultura come lui, che aveva girato l’Italia, avrebbe saputo risolvere quel mistero. Il curato ed il Maestro si allontanarono dai campi incamminandosi verso il borgo fortificato. Dal sentiero si poteva ammirare il castello che, con le sue mura e le torri difensive, dominava le pianure circostanti. Maestro Maitani era da poco giunto da Orvieto per controllare i lavori di restauro della fortezza, dei quali era stato nominato progettista e supervisore. I lavori avevano lo scopo di conosolidare le strutture esistenti e di edificare nuove fortificazioni per rendere maggiormente sicuro l’intero complesso. Anche da quella distanza si potevano scorgere le maestranze al lavoro, indaffarate nell’issare grossi conci di pietra e abbarbicate su improvvisate incastellature di legno. I pensieri del Maestro, nonostante fosse molto concentrato sui lavori del castello, erano altrove. Erano settimane, ormai, che la sua mente si arrovellava sulla scena che avrebbe voluto rappresentare nella lunetta del portale maggiore della facciata del  Duomo Orvietano. Doveva raffigurare la Vergine con il bambino ma, nonostante avesse ormai eseguito innumerevoli bozzetti, era del tutto insoddisfatto dei risultati. La scena mancava di proporzione e movimento.

“Capite perché mi sono permesso di chiedere il vostro aiuto ?”

La voce del curato lo riportò al presente.

“Mi dispiace, maestro, avervi costretto ad un simile supplizio, entrare nel porcile intendo, ma volevo che vedeste con gli occhi vostri.”

“Non preoccupatevene, padre Gregorio” rispose affabile Lorenzo.

“E, fidatevi” proseguì il curato” qualunque campo o porcile o pollaio che vorreste visitare nei dintorni, trovereste la situazione medesima. In ognuno scoprireste un ostia, riposta nei luoghi più impensabili e blasfemi.”

“Mi fido ben di voi, padre, ma non comprendo, ad ogni buon conto, in quale modo potrei esservi d’aiuto.”

“Maestro” disse il curato arrestandosi “speravo che la di voi arguzia m’avrebbe aiutato ad aprire gli occhi miei su tanto mistero. Oh, vi prego, ” aggiunse poi in tono supplichevole “non dite al vescovo che v’ho disturbato per una tale sciocchezza.”

“Non lo farò, statene certo” rispose in tono rassicurante il senese.

I due uomini ripresero lentamente il loro cammino.

“Dunque, Maestro Lorenzo, che pensate ?”

“Non v’é un grande mistero, padre. V’é solo una schiera di contadini che vi ruba il pane consacrato e lo utilizza credendo di proteggere così i propri raccolti o le proprie bestie.”

“Ma é proprio questo il punto” esclamò padre Gregorio “ non ho mai avuto alcun furto nella chiesa. La sacrestia é sotto chiave e ben sorvegliata. Da qualche settimana conto e riconto le ostie prima e dopo le funzioni: nessun ammanco.”

“Mi state forse dicendo che le ostie che trovate presso i contadini non provengono dalla vostra chiesa? Che il fornaio le vende ai bifolchi in segreto?”

“Questo é ciò che sembra” rispose il curato.

“E dunque, padre, le ostie potrebbero essere non consacrate?”

“Se ne fossi certo, allora, non starei a fare tutto questo baccano. Riporre in un porcile un tozzo di pane non consacrato non è fare uso malefico dell’ostia. La sostanza del pane eucaristico viene trasformata nel corpo di Cristo solo durante la funzione, benché gli accidenti del pane restino immutati.”

“Ma se fosse semplice pane, padre, non si spiega la devozione che i bifolchi ostentano per le loro ostie.”

“Questo è vero. Sono tutti buoni fedeli e, accidenti, saran ben consapevoli che il semplice pane non é corpo di Cristo” replicò il curato.

Nel frattempo i due compagni erano giunti in cima alla collina ed avevano fatto ingresso nel piccolo borgo cittadino. Due basse fila di case si affacciavano su una stretta via percorsa da un nugolo di persone. Il silenzio dei campi aveva ceduto il posto al vociare delle donne, allo scalpiccio degli asini sul selciato, al rumore delle ruote dei carretti. Maestro Lorenzo si lasciò cullare dalla vista del lago che, da alcuni punti, era ben visibile dalla strada. L’azzurro specchio d’acqua, eternamente immutato, riluceva immobile sotto i raggi del sole, rispondendo con sporadici bagliori iridescenti che parevano librarsi dalla superficie.

“Credo allora che le ostie siano proprio le vostre” disse dopo alcuni minuti di silenzio Maestro Maitani.

“Come?” si interrogò il curato “Le mie ? Dite che allora le ostie sono proprio quelle mie?”

“Si.”

“Allora accuserò quei bifolchi di furto e gli darò una lezione come si deve.”

“Di furto, padre, non li potete proprio accusare.”

“E perché mai non potrei ?” chiese incredulo il curato.

“Perché voi stesso, consapevolmente, gliele date ad ogni funzione” replicò Lorenzo “… fareste bene a vegliare con cura a che i fedeli, quando si comunicano, inghiottano l’ostia e non la tengano sotto la lingua.”

fine

 


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