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Dio riconoscerà i suoi[ racconto ] ● Massimiliano De Rose ● 22 luglio 2006 Beziers - 22 luglio, anno del Signore 1209. Guillem ansimava per lo sforzo
e tremava ancora per la paura. Le grida ed il caos di pochi istanti
prima avevano lasciato il posto ad un silenzio irreale. Si guardò
attorno per controllare che i suoi compagni fossero ancora vicino a lui,
misurando ogni passo con attenzione per evitare di calpestare i corpi
dei cadaveri che si stendevano a perdita d’occhio dinanzi a lui. Si
accorse di provare un forte dolore all’avanbraccio, provocatogli
probabilmente dalla tensione con cui ancora stringeva un grezzo bastone
di legno, la sua unica arma. Si rilassò, pensando che ormai tutto era
finito. Respirò profondamente, inalando il puzzo della carne lacerata e
del sangue mischiato al profumo dell’incenso. Un senso di nausea gli
fece girare il capo e solo la consapevolezza di dover continuare nella
perlustrazione per accertarsi che nessuno di quei demoni fosse ancora in
vita gli consentì di proseguire. A prima vista poteva apparire che tutti
quei corpi giacessero inermi e senza vita, ma Guillem doveva averne
l’assoluta certezza, anche a costo di rivoltarli uno ad uno. Fu in quel
preciso momento che gli parve di vedere il braccio di uomo muoversi
impercettibilmente. Si avvicinò, cercando di cogliere l’eventuale
movimento delle vesti provocato dal respiro. Nessun movimento. L’uomo
era girato di schiena e Guillem gli puntò il suo bastone nelle costole.
Niente. Guillem cercò di osservare meglio chinandosi
sull’uomo, che pareva proteggere il corpo
inerme di una bambina. Improvvisamente l’uomo si alzò con un balzo
felino e, senza che Guillem ebbe il tempo di rendersi conto di quello
che stava accadendo, gli si scaraventò contro urlando selvaggiamente. La
sua voce pareva arrivare direttamente dal profondo degli inferi. Guillem
impallidì alla vista di quel volto tumefatto e dagli occhi iniettati di
sangue che si trovò di fronte. Si sentì afferrare per la gola e
strattonare violentemente. Resosi conto di essere stato disarmato, potè
solo confidare sulla prontezza di riflessi dei suoi compagni. Anche in quel periodo dell’anno le spesse mura della
chiesa trasmettevano una sensazione di gelo ed umidità. Guiraut, dalla
posizione in cui si trovava, godeva di un ottima visuale dell’intera
pianta della chiesa. Aveva sperato, per tutta la durata del massacro,
che nessuno volgesse lo sguardo verso l’alto, altrimenti qualcuno
avrebbe di certo notato la sua figura, abbarbicata tra la struttura
lignea del tetto e il grosso pilastro di pietra a confine tra la navata
centrale ed il transetto nord. Se l’istinto non gli avesse suggerito di
arrampicarsi fin lassù ora, probabilmente, giacerebbe inerme e privo di
vita sul pavimento polveroso della navata centrale. Quanti amici e
parenti aveva perso in quella carneficina? Un brivido freddo gli corse
lungo la schiena e alcune lacrime gli solcarono il viso. Le sentì
scivolare lungo le guance e le potè osservare mentre si staccavano dalla
sua pelle per andare a perdersi nel vuoto della chiesa. La consapevolezza di non essere ancora al sicuro lo ridestò dai suoi pensieri, facendogli trovare la forza per resistere ancora in quella scomoda posizione. Scrutò in basso e seguì con lo sguardo i movimenti di alcuni uomini, armati di bastoni, asce e coltelli, che perlustravano con attenzione ogni angolo della chiesa. Il silenzio surreale che regnava in quel luogo di culto venne improvvisamente interrotto da un urlo che Guiraut stentò a credere fosse umano. Vagò rapidamente con lo sguardo lungo tutta la navata e vide ciò che credeva essere un cadavere sollevarsi sulle proprie gambe e scagliarsi con violenza contro uno degli uomini armati. Quest’ultimo non ebbe il tempo di reagire e, in meno di un istante, si trovò riverso sul pavimento. Forse, pensò Guiraut, sarebbe riuscito ad approfittare di quel diversivo per abbandonare la sua scomoda posizione. Nell’abside e nel transetto non v’era più anima viva e le poche persone rimaste, ora, si stavano abbattendo con ferocia contro il resuscitato. Guiraut si mosse cercando di scivolare in basso lungo il pilastro, tanto quanto bastava per guadagnare la via di fuga rappresentata dall’angusta finestra che si apriva sul lato est. Doveva essere rapido e agire senza esitazioni Philippe piangeva sommessamente. Piangeva e
ripercorreva in rapida successione gli eventi. Ripensando alle vicende
della mattinata provò a convincersi che l’accaduto dovesse essere frutto
di un grosso equivoco. Il giorno prima, quando dalle mura della città
aveva indugiato a lungo sull’accampamento nemico, non avrebbe mai
immaginato che l’assedio sarebbe finito in un massacro. Sulle rive dell’Orb
aveva contato più di ventimila uomini in arme, pronti a sferrare
l’attacco decisivo alle mura di Beziers. Solo una minima parte erano
però soldati regolari e cavalieri: la grande maggioranza di
quell’esercito era costituito da ribelli malvestiti e male armati. Come
potevano pensare di avere ragione di una cittadina ben fortificata e
difesa come Beziers? Nonostante tutto Philippe desiderava con tutto il
cuore evitare lo scontro. Apprese con sollievo che il vescovo cattolico,
Renaud de Montpeyroux, si era recato presso i nemici per negoziare la
resa. Il vescovo, però, era ritornato con l’elenco dei duecentoventidue
perfetti catari da consegnare al rogo in cambio della pace. I
rappresentanti del popolo, quasi esclusivamente cattolici, s’erano
rifiutati di tradire i loro concittadini catari e sottostare ad una
condizione così aberrante. Poco dopo accadde che un gruppo di ribelli al
soldo dell’esercito nemico riuscì a guadagnare la porta della città,
probabilmente mentre qualche abitante tentava al contrario di farvi
ritorno. La strada al massacro fu aperta. Philippe aveva suggerito, come
molti altri, di rifugiarsi in chiesa, sperando che la sacralità del
luogo li avrebbe salvati. Nessuna croce, o altare, o crocifisso potè
invece salvarli. I cittadini cattolici e catari, che a Beziers avevano
convissuto pacificamente per decenni, vennero trucidati brutalmente nel
giro di poche ore senza distinzione di sesso o età. Dopo aver dato un ultimo bacio alla sua bambina, che
giaceva senza vita sotto di lui, con un rapido scatto si sollevò in
piedi gettandosi contro uno dei manigoldi responsabili del massacro. Non
cercava vendetta, bensì la morte. Cos’altro poteva volere ora? Tutto era
andato perduto. Gli affetti più cari erano scomparsi all’ombra nera
delle insegne dei crociati e del Papa. Il portone della chiesa della Maddalena si spalancò e
Arnald Amalric, abate di Citeaux, in sella al suo possente destriero,
fece il suo ingresso nella navata centrale. Si fermò dopo pochi metri e,
sceso da cavallo, rimase ad osservare stupefatto lo spettacolo che gli
si presentava sotto gli occhi. L’odore nauseabondo che si levava dai
corpi inermi di quel migliaio di uomini trucidati lo fece barcollare.
Quando si riprese, l’abate di Citeaux avanzò di qualche passo,
allargando le braccia in segno di onnipotenza. La sua voce echeggiò
stridula negli ampi spazi dell’edificio. “ I meccanismi della vendetta divina sono stati
mirabili.” La festa della Santa Maria Maddalena non poteva
essere onorata in modo migliore. Arnald si convinse che le altre città
sulla loro strada, dopo questo splendido trionfo, avrebbero aperto le
loro porte senza nemmeno tentare di resistere. Dietro di lui la vasta
colonna di uomini e preghiere che l’avrebbe seguito ovunque per
difendere le insegne del Papa, era irta di picche ed asce e ribolliva
dal desiderio di violenza. Non si aspettava di uscire illeso da un volo di
quattro metri. Quando ebbe toccato terra, benchè il colpo fosse stato
attutito da un morbido tappeto erboso, perse l’equilibrio e rotolò per
alcuni metri. Gli arti inferiori non avevano subito danni, ma la spalla
destra, con la quale s’era fatto scudo mentre ruzzolava, ora gli doleva
molto. Fortunatamente nessuno si accorse della sua figura che furtiva si
allontanava dalla chiesa della Maddalena. Cominciò a correre
furiosamente attraverso i vicoli secondari della città nel disperato
tentativo di raggiungere e superare le mura, dandosi così alla macchia. No, non v’era nulla di cui meravigliarsi, pensava
Guiraut. Le parole di madame Minerve gli ritornarono in mente, come un
suono puro e cristallino. La Chiesa Cattolica serviva il Dio del Male e,
coerentemente, aveva schierato il suo esercito di demoni, pronto ad
ammazzare uomini e spargere sangue, commettere assassini e appiccare
incendi, conquistare terre con la violenza e massacrare donne e bambini.
Guiraut, mentre correva affannosamente, trovò ugualmente il tempo di
rivolgere un’ultima preghiera alle migliaia di morti che stava
lasciandosi alle spalle. Noi non siamo di questo mondo, ripetè a
memoria, e questo mondo non ci appartiene, ed io ho meno paura di
incontrare la morte in questo regno che non di imbattermi in un Dio
estraneo. Per tutti i peccati che abbiamo commesso in parole o opere, io
chiedo perdono a Dio e alla Chiesa. fine
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