Questione di vedute

[ racconto ]     Massimiliano De Rose     4 aprile 2006

La luna, quella sera, sembrava un faro acceso sulla città. Nuvole disordinate la disturbavano appena lungo la linea che divideva il cielo dal suo pallore. Immobili, facevano da cornice a tanto splendore.  La grata di ferro del cancello proiettava un ombra inquietante sul pavimento di cemento del parcheggio. Adriano, nonostante tutto, guardava il cielo estasiato. Doveva ammetterlo, la luna era proprio bella, quella sera. Ripensava, tranquillo, agli avvenimenti della giornata. Una giornata densa di appuntamenti, telefonate e firme scarabocchiate velocemente. Fortunatamente la sua segretaria era molto abile nel tenere lontano gli scocciatori. Prima ancora di arrivare al palazzo comunale, il Sindaco lo aveva chiamato sul cellulare già tre volte. Adriano, pur non conoscendo a fondo i procedimenti di cui il primo cittadino chiedeva il resoconto, era riuscito ad apparire risoluto e consapevole. Ed il sindaco aveva riagganciato ogni volta soddisfatto e tranquillo, ignaro della leggerezza con cui il suo segretario affrontava punti importanti del suo programma elettorale. Entrato nel suo ufficio non aveva neanche avuto il tempo di andare in bagno, perché diverse persone erano già in attesa fuori dalla porta e chiedevano di essere ricevute. Adriano si lamentava spesso dei suoi ritmi assillanti, ma la realtà era che adorava il suo lavoro. In fin dei conti, nessuno lo aveva obbligato ad accettare contemporaneamente le cariche di segretario comunale e presidente dell’ordine degli avvocati. Senza considerare il libero esercizio della professione. Adorava il potere e si compiaceva di come fosse in grado di manipolare le persone. Gli bastava un occhiata per individuare il punto debole del suo interlocutore. Aveva una straordinaria padronanza di linguaggio, un’innata capacità di piegare qualsiasi avvenimento a suo favore e parole taglienti a cui non v’era rimedio. Spesso veniva accusato di falsa modestia. Ingiustamente, a parer suo. L’avvocato guardava i suoi interlocutori dalla sua comoda poltrona, con i muscoli della faccia contratti in una smorfia ed il sopracciglio sinistro inarcato sulla fronte. Adriano non era un uomo molto alto, nonostante l’enorme sedia di legno sul quale era abbarbicato lo facesse sembrare un gigante. Quella messinscena poteva impressionare un umile contadino, od una segretaria timorosa, ma non certo un uomo dotato di un minimo di intelligenza, che anzi avrebbe trovato comico vedere i piedi del direttore generale toccare a malapena per terra.

Improvvisamente si rammentò di quel tizio. Quello di cui ora non riusciva proprio a ricordare il nome. Adriano, nonostante fosse affabile e confidenziale con chiunque, raramente rammentava i nomi. Se ora si trovava lì, ad ammirare il cielo notturno, era solo grazie a lui. Un giovane imberbe che credeva di potergli tenere testa. Curioso, intelligente, ma troppo impulsivo. E per questo vulnerabile. Uno fra i tanti che Adriano aveva liquidato freddamente e con involontaria maleducazione. Chissà per quale ragione si era arrabbiato tanto. “ T’accorgerai di quanto é bella la luna, questa sera “ gli aveva detto ridendo. Adriano aveva colto nei suoi occhi qualcosa di sinistro, come uno luccichio beffardo.

Ora se ne stava lì, disteso sul freddo pavimento di cemento, e guardava in cielo. Guardava in alto, più alto che poteva, per evitare di vedere il manico del coltello che sbucava dal suo corpo. La lama, fredda e reale, era conficcata nel petto. Sentiva l’odore del suo sangue, caldo e amichevole, sgorgare lentamente dalla ferita. Sapeva che gli rimanevano ancora pochi istanti di lucidità, e non aveva il coraggio di guardare il pugnale. Avrebbe dovuto capire che era un individuo pericoloso. Ma come aveva fatto a non accorgersi ? Come aveva fatto a non accorgersi prima che la luna era così bella ? Forse perché non l’aveva mai vista da quella posizione.

fine

 


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